Pages - Menu

giovedì 6 dicembre 2012

C’è un caso Sallusti


Questo articolo di Filippo Facci, giornalista e scrittore, è stato pubblicato su Libero negli scorsi due giorni. Astenersi commentatori del livello «non esiste un caso Sallusti» o «la legge è uguale per tutti».
È una questione di principio grande come una casa: eppure la maggioranza dei «colleghi» non lo capisce o finge di non capirlo o più probabilmente non ha un’indipendenza morale sufficiente per capirlo. Capire che Sallusti non è Sallusti: è un giornalista. Non è il direttore del Giornale: lo è di un giornale. Ciò che è diverso, nel caso Sallusti, non è una sua particolare responsabilità rispetto ad altri casi analoghi o similari, ma è il trattamento ad personam che hanno voluto riservargli e che in potenza potrebbero riservare a qualsiasi giornalista o direttore che incorra nella riscoperta «diffamazione», grave e ricorrente incidente professionale in cui inciampano anche migliaia di giornalisti politically correct. Le condanne per diffamazione le hanno avute anche i Montanelli, i Biagi, i Bocca e soprattutto tanti direttori pienamente in attività che ne hanno centinaia (centinaia) anche se nessun giudice si è mai permesso di bollarli come «delinquenti abituali» socialmente pericolosi, bensì, al limite, solo come giornalisti che hanno scelto di esporsi e di pagarne un prezzo economico e legale. Ma questo prezzo non è mai stato la galera, nè qui né in nessun paese civile.
Forse il cervello atrofizzato di tanti colleghi ha scambiato tutta questa faccenda per l’ennesima degenerazione del bipolarismo muscolare: ma che un giornalista non debba finire in carcere – non per il reato addebitato a Sallusti – lo dice la Convenzione europea per i diritti dell’Uomo, lo dice l’Organizzazione per la sicurezza e l’organizzazione in Europa, insomma non lo dicono soltanto gli amici di Sallusti: posto che è diventato difficile riconoscerli. Ecco perché stanno a zero tutti i bla bla, i distinguo, i «ma però», le solidarietà a costo zero in due righe su Twitter, i cerchiobottismi e gli ambeduismi e gli acquattismi di chi non capisce che ciò che succede a Sallusti – giornalista – sta succedendo anche a loro. Ecco perché i dibattiiti fifty-fifty, a saldo a zero, non servono a niente: ci sono volte in cui fare di tutta l’erba un fascio può anche servire, volte in cui bisognerebbe solo ammettere che c’è un collega che è stato condannato alla galera e che lui, per protesta, aveva chiesto soltanto di poterci andare, senza i se e i ma che invece tanti di noi, ora e invece, distillano nei vacui teatrini di un parolame senza sbocco.
La legge? La piantino di tirare in ballo la legge sbagliata e le colpe dei politici: quelle sono assodate, ma la legge è sbagliata da decenni e a fare la differenza può essere solo la volontà di applicarla in un modo o nell’altro. Nel caso di Sallusti abbiamo un giudice querelante, due pm di primo grado e d’Appello, due collegi giudicanti e una Corte di Cassazione che hanno espressamente voluto la galera laddove migliaia di loro colleghi non l’avevano mai voluta e si erano limitati ad ammende e a pene sospese. C’è stato un salto di qualità che è figlio di questo tempo e che scivola nell’incapacità dei giornalisti di essere una corporazione vera, qualcosa che non si limiti a invocare rinnovi del contratto. Il Procuratore capo Edmondo Bruti Liberati, che ha comunque fatto i suoi sforzi per limitare gli effetti di una sentenza sproporzionata benché formalmente ineccepibile, forse temeva che mettere un direttore in carcere avrebbe provocato una mezza sollevazione: è tristissimo constatare quanto si sbagliava.
Nel Paese in cui tutto si accomoda, Alessandro Sallusti ha tirato dritto e si è limitato a invocare la galera (vera) a cui l’avevano condannato: e per averla invocata, rifiutando i domiciliari, ora gliene vogliono affibbiare altra. Questo per l’ironia piccola e imbecille di chi descrive per la centesima volta la fatidica «prigione dorata» che lo vede comunque privo della libertà. Sono tanti gli assurdi di tutta questa storia: ma la varietà di buoni e miti consigli che sono giunti e giungono a Sallusti – scritti o sussurrati – sapevano e sanno di scappatoia, di consigliata furbizia, di paternale per l’ottusa coerenza, di possibili soluzioni oblique rispetto alla via maestra che rimane roba da stolti, da quadrati, da poco italiani che non sanno neppure arrangiarsi. Questo, discretamente, hanno mormorato anche tanti giornalisti: i quali non è che non vogliono fare battaglie per Sallusti, semplicemente non vogliono fare battaglie e basta. Non ne sarebbero in grado. Mentre Sallusti, la battaglia, la sta facendo e non glielo stanno perdonando.

Nessun commento:

Posta un commento