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lunedì 29 ottobre 2012

Le grandi opere pubbliche non producono ricchezza. Come invertire la tendenza.

E' di questi giorni la notizia degli incoraggianti benefici delle olimpiadi sul prodotto interno lordo (PIL) della Gran Bretagna. La vendita dei biglietti ed il giro di affari legato a commercio, ristorazione e alberghi ha incrementato il PIL dell'1 per cento nei tre mesi fra luglio e settembre, riportando l’economia in attivo dopo nove mesi di decrescita. Oltre al fatto che i giochi olimpici londinesi si sono conclusi con una spesa 400 milioni di sterline in meno rispetto al budget stanziato di circa 9 miliardi.
Il governo Monti ha invece saggiamente rinunciato alla candidatura italiana alle olimpiadi del 2020: la storia recente ha insegnato che da noi i grandi eventi sportivi possono dimostrarsi un ottimo affare (per pochi) o, più spesso, un terremoto finanziario. Tutti i recenti appuntamenti organizzati in Italia, dai mondiali di calcio del 1990 alle olimpiadi invernali di Torino 2006 ai mondiali di nuoto del 2009, hanno lasciato in eredità passivi più o meno pesanti e opere incompiute con spese gonfiate a dismisura, cantieri sotto sequestro.
Ma perché in Italia le grandi opere (e abbiamo preso ad esempio il caso dello sport) non creano ricchezza?  
Lasciando da parte l’esempio delle olimpiadi, dove negli ultimi vent’anni le ombre prevalgono sulle luci, il primo dato di fatto è sempre la corruzione. Secondo il Rapporto 2012 della Corte dei Conti la corruzione colpisce le grandi opere con un incremento di costi stimato nel 40%. Il corruption perception index di Transparency International, che misura la percezione percepita, colloca l’Italia al 69° posto, a pari merito con Ghana e Macedonia, con un progressivo aggravamento negli ultimi anni. Il Rapporto evidenzia come un valore nell'indice di percezione della corruzione al livello di uno dei Paesi meno corrotti avrebbe garantito all'Italia un tasso di crescita economica di oltre il triplo a breve termine e di circa il doppio a lungo termine (1970-2000). 
Quindi se eliminiamo la corruzione tutti problemi sono risolti? La risposta è no
Sicuramente il costo delle grandi opere diminuirebbe e, soprattutto, queste verrebbero concluse in tempi decenti. Però non si risolve il nodo di come trasformarle in volano di sviluppo, che è il motivo per cui le grandi opere si fanno. 
Il problema è principalmente normativo, in quanto la legislazione nazionale bada solo al breve periodo e non si occupa dei benefici economici a lungo termine. Tutta la normativa sui lavori pubblici si occupa quasi esclusivamente di come spendere (bene, in teoria) i soldi per costruire le grandi e piccole opere. Stop, le cose finiscono qui. Ma costruire è solo il primo passo. 
Per creare sviluppo è molto più importante il passo successivo, cioè gestire quello che si è costruito.
Occorre cioè una rivoluzione copernicana. Quando si realizza un'opera pubblica (un palazzetto dello sport, un museo, un impianto per grandi eventi etc etc) prima si appalta la gestione e poi la costruzione.  Prima si cerca il soggetto imprenditoriale che dovrà occuparsi di far funzionare l'opera, solo in un secondo momento si appaltano i lavori per realizzare i "muri". 
Con il vantaggio:
a) che il progetto esecutivo terrebbe conto anche delle esigenze del gestore, oltre che delle idee del progettista (che spesso bada solo alla sua parcella e per il quale le varianti in corso d'opera sono fonte di guadagno)
b) si eliminerebbero quasi totalmente le varianti, fonte di spreco e di ritardi
c) l'Amministrazione pubblica capirebbe in anticipo se l'intervento è sostenibile e quanta occupazione può creare, e potrebbe anche chiedere l'apporto di capitali privati.
Tutto ciò in parte esiste già nel codice dei contratti (decreto legislativo 163/2006) dove si parla di appalti di concessione lavori. Ma senza obblighi. L'applicazione di questo tipo di contratti è lasciata alla buona volontà della Pubblica Amministrazione, che infatti non gli applica mai. 
Ecco, basterebbe una piccola modifica alle leggi attuali per imporre meccanismi di gestione delle opere pubbliche più virtuosi e realmente in grado di generare sviluppo e occupazione.

sabato 27 ottobre 2012

Cinque proposte per riformare la giustizia civile


La lentezza della giustizia civile è una delle zavorre che affossano gli investimenti nel nostro paese.
In Italia, secondo il rapporto “Doing Business 2012”, per risolvere una controversia commerciale tra due imprese servono in media 3,3 anni, mentre per concludere un processo e ottenere una sentenza definitiva sono necessari 1.210 giorni.

Le differenze con le altre economie europee sono clamorose. In paesi come Francia e Germania i processi civili si concludono rispettivamente in 331 e 394 giorni (quattro volte meno!). Il rapporto classifica l'italia al 160° posto su 185 paesi per la capacità della giustizia civile di "far rispettare i contratti" (superati anche dal Pakistan, che è 155°).
Processi così lunghi comportano scarsa fiducia dalle banche (che quindi erogano sempre meno credito) ed una minore possibilità di crescita economica e lavorativa delle aziende, oltre che un tasso di mortalità delle imprese in continuo aumento.

Come al solito non basta denunciare i problemi, cosa che fanno più o meno tutti, ma è necessario fare qualche proposta.
Ecco le nostre:
1) introduzione di un filtro in ingresso contro le cosiddette “liti temerarie” e l'abuso del processo, spesso alimentato da un esercito di avvocati che in Italia ha proporzioni abnormi.
2) introduzione del filtro in appello, prevedendo che il giudice, in caso di manifesta fondatezza o infondatezza dell'appello, pronunci sentenza direttamente nella prima udienza. Si eviterebbero anni di inutili passaggi tra un rinvio e l'altro.
3) smaltimento dell'arretrato mediante il richiamo alle funzioni giurisdizionali di tutti i magistrati distaccati presso i ministeri ed altri enti pubblici. Divieto per i magistrati di assumere incarichi extra-giudiziari, in modo che tutto il loro tempo sia concentrato sul lavoro ordinario
4) riduzione e semplificazione dei riti processuali civili, ossia delle modalità con le quali si inizia, si celebra e si conclude il procedimento. Informatizzazione delle procedure e ricorso alle nuove tecnologie per le notifiche (ad esempio P.E.C. in luogo dei sistemi postali).
5) introduzione di modalità differenti dal processo per la risoluzione dei conflitti, in particolare in materia commerciale. Qualcosa è stato fatto con la mediazione, introdotta nel 2010 dal decreto legislativo n. 180. Ma è ancora troppo poco. La Commissione Europea ha censito oltre 700 modalità diverse di risoluzione dei conflitti, possibile che qualcuna non possa essere inserita nel nostro ordinamento?

Rendere più efficiente la giustizia civile è anche una questione di risparmi.
Gli attuali irragionevoli tempi causano sanzioni dall’Unione Europea e un danno economico che secondo Mario Draghi – ex Governatore della Banca d’Italia - costa al nostro paese un punto di PIL, cioè 14,1 miliardi all'anno.

Tu cosa ne pensi?

venerdì 26 ottobre 2012

Burocrazia. La tassa occulta che strozza le imprese.

La burocrazia costa al sistema delle nostre piccole e medie imprese 26,5 miliardi di euro all'anno,  una media di circa 6.000 euro per azienda.
I dati sono forniti dalla CGIA di Mestre che ha analizzato gli oneri della burocrazia sulle piccole e medie imprese italiane (imprese con meno di 250 addetti) aggiornato al maggio di quest’anno.

I maggiori costi riguardano:
- il lavoro e la previdenza. La tenuta dei libri paga, le comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro,  le denunce mensili dei dati retributivi e contributivi, l’ammontare delle retribuzioni e delle autoliquidazioni costano al sistema delle Pmi complessivamente 9,9 miliardi all’anno.
- la sicurezza nei luoghi di lavoro, che pesa per un importo di  4,6 miliardi di euro. La valutazione dei rischi, il piano operativo di sicurezza,  la formazione obbligatoria del titolare e dei dipendenti sono solo alcune delle voci che compongono i costi di questo settore.
- il settore ambiente con spese per 3,4 miliardi di euro l’anno. Le autorizzazioni per lo scarico delle acque reflue, la documentazione per l’impatto acustico, la tenuta dei registri dei rifiuti e le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sono le voci che determinano la gran parte degli oneri di questa sezione.
- la materia fiscale brucia alle aziende ulteriori 2,7 mld di euro. Comprende il costo amministrativo degli adempimenti in materia fiscale, le dichiarazioni dei sostituti di imposta, le comunicazioni periodiche ed annuali Iva, etc
- gli altri settori che incidono sui costi amministrativi delle pmi sono la privacy (circa 2,6 mld di €), la prevenzione incendi (1,4 mld di €), gli appalti (1,2 mld di €) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (0,6 miliardi di €). 

Le più penalizzate sono naturalmente le micro imprese e i lavoratori autonomi che, a differenza delle aziende di maggiori dimensioni, non posseggono una struttura amministrativa in grado di sbrigare tutte queste incombenze.

Quali le possibili soluzioni? La ricetta, a nostro avviso, è sempre la stessa: semplificare
Anche se tutti ne parlano nessuno fa nulla di veramente incisivo. Anzi, sembra che si proceda in direzione opposta: nuove leggi e nuovi adempimenti sovrapposti a quelli già esistenti. Una babele incomprensibile che solo un professionista (avvocato, commercialista, ingegnere ecc...) può risolvere. Non sarà che questo è proprio il risultato voluto? Le lobby professionali che siedono in parlamento pare non abbiano alcun interesse a semplificare materie sulle quali campano migliaia di loro colleghi.

Avanziamo allora alcune proposte a costo zero.
1. riordinare le varie materie in "testi unici" che non siano una mera raccolta delle norme esistenti (come adesso avviene), ma ripartano da zero con l'obiettivo di semplificare i procedimenti;
2. rendere obbligatorio il disbrigo degli adempimenti con la P.A. per esclusiva via telematica. Non si parla solo di trasmettere dati per Posta Elettronica Certificata (PEC), ma di organizzare nuovi portali web gestiti dalle Pubbliche Amministrazioni attraverso cui espletare le procedure richieste. Non è né difficile né rivoluzionario, ed è meno complicato che creare un sito per l'e-commerce (!). 
3. minimizzare l'intervento dei funzionari pubblici con l'istituto del "silenzio assenso" per tutte le richieste di pareri, nulla osta ecc.. rivolte alle P.A. Se l'Ente non risponde entro 30/60 giorni (dipende dai casi) il parere si intende positivo e l'azienda può procedere senza ulteriori ritardi.
Con le semplificazioni si potrebbero almeno dimezzare i costi della burocrazia, liberando risorse per circa 13 miliardi l'anno. Di questi tempi non è poco.

Il referendum legislativo. Democrazia diretta contro l'immobilismo del sistema politico


Esiste un modo per arginare l'immobilismo dell'attuale sistema politico? Una speranza potrebbe essere l'introduzione di elementi di democrazia diretta che ancora non esistono, come il "referendum legislativo". Oggi questa possibilità è debolmente disciplinata solo per le amministrazioni locali, dove la L. 265/99 consente forme di iniziativa diretta come il referendum deliberativo. Il problema è che dalla costituzione in poi tutto il sistema decisionale è di tipo rappresentativo, e non consente quindi di sviluppare l’esercizio di alcuna forma di sovranità popolare.
I nodi principali sono tre:
1. l’effettiva capacità deliberativa del referendum
2. il numero delle firme necessarie
3. il quorum di validità.

Attenzione. Qualcuno potrebbe obiettare che possono essere presentati i "disegni di legge di iniziativa popolare" previsti dall'articolo 71 della Costituzione e dalla legge 352 del 1970. Ma questa non è democrazia diretta, è solo un modo per prendere in giro i cittadini.
I regolamenti interni delle camere relegano le proposte popolari all'ultimo posto nelle discussioni, superate sempre da quelle di iniziativa parlamentare.
A che serve presentare disegni di legge se il parlamento non è obbligato a discuterli? Basterebbe un dato: dal 1979 al 2012 su 216 proposte popolari solo 10 sono diventate legge.

Noi vogliamo che i cittadini possano presentare un testo di legge non in forma di "disegno", ma di atto da sottoporre a referendum.
Se i cittadini dicono "si" quella proposta entra in vigore come legge ordinaria.
Naturalmente devono essere fatte salve le garanzie di copertura finanziaria e devono essere disciplinate le materie in cui tale diritto può essere esercitato. Cosa sarebbe successo, ad esempio, se il disegno di legge di Beppe Grillo per l'ineleggibilità dei condannati fosse stato sottoposto a referendum? Io credo che sarebbe diventato legge senza se e senza ma.
Il numero di firme necessarie ed il quorum di un referendum legislativo rimarrebbero gli stessi richiesti per il referendum abrogativo, con i medesimi vincoli e formalità.
Pensiamoci un attimo: la Costituzione dice che "La sovranità appartiene al popolo". E se il popolo, con le dovute garanzie, potesse finalmente esercitarla?

mercoledì 24 ottobre 2012

Un'idea contro la crisi. Rilanciare le energie rinnovabili

Il governo ha tagliato gli incentivi alle energie rinnovabili perché, nel corso degli anni, le bollette elettriche sarebbero diventate insostenibili. 
Una bugia enorme, che sta mettendo in ginocchio l'unico settore che in questi anni di crisi ha prodotto posti di lavoro. E che probabilmente farà comodo a tutti gli operatori tradizionali (petrolio-carbone-gas) che dalle rinnovabili cominciavano ad avere qualche fastidio.
Primo: chi ci guadagna e chi ci perde. 
Il costo dell’energia cambia di ora in ora. L'ENEL paga il prezzo più alto per acquistare energia nelle ore tra le 11 e le 15, con un picco a mezzogiorno. Ma questo è anche il periodo della giornata in cui è concentrata la produzione fotovoltaica. Quindi l’energia elettrica fotovoltaica fa abbassare il costo dell’energia proprio perché diminuisce la quantità di elettricità che l’Enel compra nelle ore di punta (quando è più cara). Qui c’è la semplice spiegazione di questo accanimento contro il fotovoltaico. I grandi gruppi economici che producono energia da fonti fossili hanno il massimo guadagno proprio nei momenti di picco dei consumi. E se il fotovoltaico aumenta l’offerta di energia in quelle ore, chi produce energia dal fossile ci perde una barca di soldi. Uno studio della ASPO Italia e Cautha S.r.l. dimostra che nei prossimi anni l’aumento del fotovoltaico sarà un contrappeso ai picchi dei consumi, tale da provocare un risparmio in bolletta intorno al 5%.

Secondo: meno dispersioni. 
Gli impianti da fonti rinnovabili producono energia nei luoghi dove sono installati. Di conseguenza riducono la dispersione dovuta alle grandi distanze che l’elettricità prodotta da fonti non rinnovabili deve percorrere. Uno studio dalla APER e dalla Pöyry Management Consulting, calcola che il risparmio sulla dispersione sarà, nel 2013, di circa 660 milioni di euro.

Terzo: chi lavora paga le tasse. 
Sugli investimenti per i nuovi impianti, cioè forniture di pannelli e installazione, lo Stato incassa i prelievi fiscali di IVA e altre tasse. E si riprende quindi subito una parte degli incentivi. Secondo uno studio del Politecnico di Milano nel 2009 questo ritorno fiscale è stato di circa 300 milioni di euro.

Quarto: le multe evitate. 
Lo Stato risparmia (o potrebbe risparmiare) con le rinnovabili decine di milioni di euro in termini di multe evitate per il mancato rispetto degli accordi di Kyoto (diminuzione della CO2).

Ma la cosa più importante è che le fonti rinnovabili sono una questione strategica per la nostra economia:
1) in un momento di crisi il settore delle energie rinnovabili è l’unico settore che si è sviluppato e che può creare altri posti di lavoro
2) la realizzazione di serre fotovoltaiche è uno dei modi per rivitalizzare il lavoro nelle campagne e diminuire i rischi dell'attività agricola
3) con l'installazione dei pannelli sui tetti si eliminano le coperture in cemento amianto, contribuendo alla salute collettiva
4) il petrolio è alle stelle. Aumentare la produzione di energia verde e razionalizzare i consumi ci permetterà di ridurre il rischio di collasso energetico quando aumenteranno i consumi.
5) diminuire le emissioni inquinanti fa bene alla salute. E si risparmiano enormi costi sanitari e ambientali.

Infine due proposte al governo:

1. Abrogare subito le disposizioni del quinto conto energia e tornare al quarto, equo mix tra incentivi e ritorno economico per chi investe nel settore. Se possibile incrementare la quota di incentivo per pannelli di produzione italiana, per contrastare la concorrenza sleale dei pannelli cinesi drogati dagli aiuti di Stato;

2. Incrementare gli incentivi fiscali e le semplificazioni normative per tutti gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici. Abbiamo 10 milioni di case da isolare termicamente, milioni di sistemi di riscaldamento da sostituire.

VOGLIAMO TUTELARE IL LAVORO?


Partiamo dalla Costituzione:


art.1 << L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione>>;

art.4 << La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. 
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società>>

art.35 : << la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.>>


Da nord a sud della nostra Italia, non si può far finta e stare in silenzio e non ascoltare la voce di tante persone che gridano la loro disperazione dinnanzi a situazioni economicamente disastrose, tanti sono gli esempi nella nostra Regione, la Sardegna: caso Keller, Alcoa, ecc. ecc.ecc.
Come nel resto d'Italia! tantissimi sono i casi.
Quanti accorati appelli! quante domande alla classe dirigente! Sembra proprio che le tante manifestazioni i tanti accorati appelli di centinaia di famiglie non vengano ascoltate.
 Il lavoro, è lo strumento che fa muovere e sviluppare la nostra economia.
 Famiglie senza lavoro, non consumano e tutto si ferma, si paralizza.

 Occorrono riforme concrete per :

 1)  LE IMPRESE:
 Sostenerle non solo nella nascita ma nella crescita. Questo potrebbe essere raggiunto attraverso formule di finanziamento non a fondo perduto, ma attraverso l'erogazione di mutui a lungo termine (30 anni) da restituire a tassi agevolati; Quindi si avrebbe un risparmio delle risorse pubbliche, eliminazione dei finanziamenti a fondo perduto. Verrebbero incentivate e finanziate le idee imprenditoriali per lungo periodo. Attraverso una preventiva analisi di mercato.
Le aziende sarebbero più produttive e competitive, sarebbe favorita altresì  l'assunzione di personale, quindi impiego di forza lavoro, diminuzione di disoccupazione.



2) L'UNIVERSITA' 

ELIMINAZIONE DELLE UNIVERSITA' A NUMERO CHIUSO. Tutti hanno, diritto in base alle proprie aspirazioni, a seguire un determinato percorso di studi, e certamente conseguiranno il proprio titolo di laurea solo con meriti.
Le università devono essere svecchiate nel senso che alla" teoria" deve contemporaneamente seguire "l'effettiva pratica" questo per facilitale l'inserimento dei laureati all'esercizio della professione.
Quanto ai rettori delle università devono essere eletti una sola volta per la durata di 5 anni di carica, per poi cedere il posto ad altro rettore. L'Università costituisce una grande risorsa dove attingere eccellenze dirette ad essere impiegate nella classe dirigente per concorrere allo sviluppo e alla crescita del paese.





 3) INTRODUZIONE DEL LAVORO GRATUITO PER I CARCERATI 
Sarebbe più utile che tutti coloro che hanno commesso un reato, restituissero in forma di lavoro il danno arrecato alla società, per aver commesso un reato.
Salvo i carcerati  che per motivi di sicurezza devono stare in isolamento,  tutti gli altri carcerati potrebbero essere impiegati in lavori di costruzione e ripristino di immobili,  pulizia strade ecc. ecc., sempre sotto osservazione degli agenti penitenziari.



4) FORZE ARMATE

Potenziamento di tutte le forze armate,  nel numero del personale e nella dotazione di mezzi e strumenti all'avanguardia. E' penoso sentire dire che non possono svolgere le loro funzioni  con efficenza perchè non hanno mezzi idonei.
Occorre impegnare personale delle forze armate   in operazioni di vigilanza e controllo più incisivo del territorio. Occorre diminuire le risorse destinate a missioni e impiegarle in altri settori.
Inoltre occorrerebbe procedere all'adeguamento degli stipendi, in particolare diminuzione degli stipendi degli ufficiali; Dovrebbe essere obbligatorio per tutti un test antidroga.


5) PROSTITUZIONE

Coloro che svolgono tale professione devono essere regolamentate attraverso apertura di partita IVA e regolare contribuzione. L'esercizio deve essere effettuato in apposite strutture assistite da apposito controllo medico per la prevenzione di malattie.
 Non si può impedire l'esercizio della prostituzione, ma lo sfruttamento va punito severamente.
 Questo per liberare le strade,  e evitare di vedere scene sconcertanti anche alla luce del sole.



domenica 21 ottobre 2012

Il fallimento del governo Monti. Le banche scippano alle imprese per regalare allo Stato

Il Centro Studi Unimpresa ha analizzato i dati su 12 mesi di credit crunch: "Negli ultimi dodici mesi il ritmo dei finanziamenti degli istituti di credito ha visto un drastico calo degli impieghi nei confronti delle famiglie e delle imprese", per un totale di 34,7 miliardi in meno. Al contrario il sostegno degli istituti all'amministrazione centrale non è venuto meno: +6,06% su base annua.

Il comportamento delle banche – ha spiegato il presidente dell’associazione, Paolo Longobardi – è pericoloso e dannoso: hanno comprato a mani basse denaro a tassi stracciati, l’1%, dalla Banca centrale europea e, invece di impiegarlo sul mercato per la crescita economica, lo hanno investito nei Btp con interessi anche oltre il 5%, assicurandosi un guadagno secco e a portata di mano di circa quattro punti percentuali. Così non si aiuta la ripresa, ma si fa letteralmente affondare il Paese”. 
Non solo. “Il rischio è quello di distruggere un tessuto fitto di filiere su cui si poggia anche la media e grande impresa – dice ancora Longobardi – Senza contare che si stanno mettendo a repentaglio centinaia di migliaia di posti di lavoro che, una volta persi, deprimeranno ancora di più i consumi interni. Di un dato si è certi: chi sopravvivrà alla mattanza praticata dagli istituti di credito – sottolinea Longobardi – uscirà dal 2012 ancor più stremato”.
Di chi è la colpa? delle banche che in fondo sono imprese private e fanno i loro interessi o di chi non ha vigilato (o voluto vigilare)?
E' ora di cambiare le regole. Perché avvalersi di un costoso intermediario quando lo Stato potrebbe finanziarsi con una spesa nettamente inferiore? 
Noi proponiamo una norma che imponga agli istituti di credito che il tasso di interesse passivo sui prestiti alle famiglie e alle imprese non superi i cinque punti percentuali rispetto al tasso del denaro acquistato dalla Banca Centrale Europea
In altri termini se il tasso di acquisto dalla B.C.E. è l'1% il tasso praticato alle imprese e famiglie non potrà superare il 6%. I tassi superiori saranno considerati usurai, e puniti penalmente come tali.

E' arrivato il momento

E' arrivato il momento di far sentire la voce di chi lavora ma non riesce ad arrivare alla fine del mese, di chi ha lavorato tutta la vita e si vede negare i suoi diritti, di chi vorrebbe lavorare e davanti a se trova solamente ostacoli.
Insomma, è arrivato il momento di far sentire la nostra voce.
Questo non è un partito. E' un movimento che vuole essere di proposta e non solo di protesta. Il nostro programma è fatto di azioni concrete, intorno alle quali vogliamo raccogliere persone che credono, come noi, di poter cambiare le cose.
La nostra voce è adesso, ma per farci sentire abbiamo bisogno anche del tuo aiuto.