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martedì 6 novembre 2012

Reddito minimo garantito. Una scelta coraggiosa contro la crisi


E’ giusto che tutti i cittadini abbiano un reddito garantito mensile di almeno 500 euro? E se si, con quali risorse?

L’attuale sistema italiano di sostegno del reddito (gli “ammortizzatori sociali”) è frammentario, discrezionale, inefficiente e iniquo.
E’ nato per “accumulazione”, con misure sovrapposte le une alle altre senza un disegno logico. Comprende, per capirci, una dozzina di misure previdenziali e assistenziali (congedo di maternità, assegno di maternità, assegni per il nucleo familiare, assegno per i nuclei familiari numerosi, integrazione al minimo, assegno sociale, pensione agli invalidi civili, cassa integrazione ordinaria ecc…) che risolvono poco e spingono alla ricerca di benefici e privilegi clientelari.
La maggior parte (circa il 50 per cento) della spesa per assistenza sociale finanzia un’unica misura: le pensioni di invalidità civile.

Quasi nulla è invece previsto in favore di soggetti che hanno perso il lavoro, hanno lavorato saltuariamente (senza l’anzianità contributiva necessaria all'erogazione degli strumenti previdenziali) o sono in cerca di prima occupazione.
Come dire: caro cittadino arrangiati e non fare tanto lo schizzinoso, qualcosa (prima o poi) troverai. Solo che nel frattempo la gente muore di fame (in qualche caso letteralmente) e l’economia è in piena recessione.

E’ quindi utile introdurre il reddito minimo garantito? A nostro avviso si. Non tanto per motivi solidaristici, ma fondamentalmente perché conviene.
Oggi, per fare un esempio, consideriamo una conquista di civiltà il sistema pensionistico pubblico sviluppatosi in tutta Europa nel secolo scorso. Tra i tanti benefici ha ridotto l’avversione al rischio delle famiglie e favorito, specie in agricoltura, l’innovazione tecnologica e organizzativa.
Oppure, per fare un altro esempio, nessuno rinuncerebbe al servizio sanitario nazionale. La tutela della salute è un diritto fondamentale dell'individuo e un interesse della collettività, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Eppure questo sistema è nato (come lo conosciamo) una cinquantina di anni fa.

Il reddito minimo garantito può essere visto come un caso particolare del diritto al lavoro sancito dalla costituzione.
Prima obiezione: ma il reddito minimo non è la negazione del lavoro, cioè percepisci un reddito anche se non fai niente? A quel punto chi lavora più?
Seconda obiezione: se io prendo poco per non fare nulla, cosa mi impedisce di andare a lavorare in nero (in modo da risultare sempre “povero”) e arrotondare?

Proviamo a rispondere.
Il reddito minimo garantito non è una invenzione di oggi, esiste già, pur in forme diverse, in tutti i paesi dell’Unione Europea (vedi il rapporto del MISSOC) e in diversi nuovi Stati membri, ad eccezione di Grecia ed Italia.
Tutte queste esperienze mostrano come la garanzia di un reddito minimo permetta scelte familiari, educative, abitative e occupazionali più efficienti.

Premessa essenziale a tutto il sistema è il corretto funzionamento di una istituzione essenziale: i centri per l’impiego. Oggi in Italia svolgono quasi esclusivamente pratiche burocratiche, e solo in minima parte riescono a contattare imprese, enti, aziende ecc… Si potrebbe scrivere un trattato sulla loro inefficienza, ma limitiamoci a dire che nel 2012 è necessaria una riforma (o sostituzione con qualcosa di più efficace) in modo che, per esempio, inizino a fare un uso massiccio del web e dei social network per creare vere opportunità di contatto tra domanda e offerta.
Rendendo efficienti i centri per l’impiego il reddito minimo diventa l’equivalente di un sussidio unico di disoccupazione, garantito a tutti i cittadini maggiorenni non occupati a condizione che siano iscritti ai servizi di collocamento e che, se chiamati, accettino la proposta di lavoro.

Il risultato finale sarebbe di segno opposto al disincentivo dell’occupazione:
1) Il reddito minimo si percepisce solo finché non si viene contattati per un’offerta lavorativa, la cui accettazione diventa obbligatoria. La maggior parte dei cittadini cerca realmente lavoro. Il reddito minimo garantito darebbe dignità alle persone, in quanto potrebbero riqualificarsi nei periodi in cui il lavoro non c’è senza cadere in situazioni di povertà estrema 
2) Il lavoro nero si elimina solo con una politica di controlli e di incentivi (fiscali). Non esiste altro modo di difendersi. L’ipotesi che il reddito minimo incrementi il nero è una balla colossale. L’evasione c’è già ed è sotto gli occhi di tutti, bisogna cercare gli strumenti giusti per combatterla.
3) Il reddito minimo garantito combatterebbe invece il “cattivo lavoro”, cioè lo sfruttamento senza scrupoli di chi vuol sottopagare i dipendenti. Diventerebbe il gradino al di sotto del quale l’offerta non troverebbe domanda.

Rimane un’ultima fondamentale questione. Con quali risorse finanziare la riforma?
Secondo una stima di Tito Boeri (lavoce.info) un sussidio unico di disoccupazione garantito a tutti i disoccupati, indipendentemente dal tipo di contratto, assicurando in partenza non meno di 500 euro al mese, costerebbe a regime circa 15,5 miliardi di euro. Il sussidio si sostituirebbe alle indennità di mobilità, ai sussidi di disoccupazione ordinari e a requisiti ridotti e alle loro gestioni speciali per edilizia e agricoltura che costano in media 7,5 miliardi all’anno. Dunque il costo netto sarebbe di 8 miliardi. Il tutto potrebbe essere interamente finanziato con un contributo di circa il 3 per cento delle retribuzioni in essere, senza alcun prelievo dalla fiscalità generale.
Altre ipotesi potrebbe essere quella di destinare una quota della somma recuperata con la lotta all’evasione fiscale, 30 miliardi di euro nel solo 2011.

Insomma, la riforma può essere finanziariamente sostenibile, anche se la cosa più difficile è cambiare il nostro modo di pensare rapportando i costi ai benefici, analogamente a quello che si è fatto con altre riforme di portata generale. La crisi si combatte anche con scelte coraggiose.

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