E’ giusto che tutti i cittadini abbiano un
reddito garantito mensile di almeno 500 euro? E se si, con quali risorse?
L’attuale sistema italiano di sostegno del reddito (gli
“ammortizzatori sociali”) è frammentario, discrezionale, inefficiente e iniquo.
E’ nato per “accumulazione”, con misure sovrapposte le une
alle altre senza un disegno logico. Comprende, per capirci, una dozzina di
misure previdenziali e assistenziali (congedo di maternità, assegno di
maternità, assegni per il nucleo familiare, assegno per i nuclei familiari
numerosi, integrazione al minimo, assegno sociale, pensione agli invalidi
civili, cassa integrazione ordinaria ecc…) che risolvono poco e spingono alla
ricerca di benefici e privilegi clientelari.
La maggior parte (circa il 50 per cento) della spesa per
assistenza sociale finanzia un’unica misura: le pensioni di invalidità
civile.
Quasi nulla è invece previsto in favore di soggetti che
hanno perso il lavoro, hanno lavorato saltuariamente (senza l’anzianità
contributiva necessaria all'erogazione degli strumenti previdenziali) o sono in
cerca di prima occupazione.
Come dire: caro cittadino arrangiati e non fare tanto lo
schizzinoso, qualcosa (prima o poi) troverai. Solo che nel frattempo la gente
muore di fame (in qualche caso letteralmente) e l’economia è in piena recessione.
E’ quindi utile introdurre il reddito minimo garantito?
A nostro avviso si. Non tanto per motivi solidaristici, ma fondamentalmente perché
conviene.
Oggi, per fare un esempio, consideriamo una conquista di
civiltà il sistema pensionistico pubblico sviluppatosi in tutta Europa nel
secolo scorso. Tra i tanti benefici ha ridotto l’avversione al rischio delle
famiglie e favorito, specie in agricoltura, l’innovazione tecnologica e
organizzativa.
Oppure, per fare un altro esempio, nessuno rinuncerebbe al
servizio sanitario nazionale. La tutela della salute è un diritto fondamentale dell'individuo e un interesse della collettività, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Eppure questo sistema è nato (come lo conosciamo) una cinquantina di anni fa.
Il reddito minimo garantito può essere visto come un caso
particolare del diritto al lavoro sancito dalla costituzione.
Prima obiezione: ma il reddito minimo non è la
negazione del lavoro, cioè percepisci un reddito anche se non fai niente? A
quel punto chi lavora più?
Seconda obiezione: se io prendo poco per non fare
nulla, cosa mi impedisce di andare a lavorare in nero (in modo da risultare
sempre “povero”) e arrotondare?
Proviamo a rispondere.
Il reddito minimo garantito non è una invenzione di oggi,
esiste già, pur in forme diverse, in tutti i paesi dell’Unione Europea (vedi il rapporto del MISSOC)
e in diversi nuovi Stati membri, ad eccezione di Grecia ed Italia.
Tutte queste esperienze mostrano come la garanzia di un
reddito minimo permetta scelte familiari, educative, abitative e occupazionali
più efficienti.
Premessa essenziale a tutto il sistema è il corretto
funzionamento di una istituzione essenziale: i centri per l’impiego. Oggi
in Italia svolgono quasi esclusivamente pratiche burocratiche, e solo in minima
parte riescono a contattare imprese, enti, aziende ecc… Si potrebbe scrivere un
trattato sulla loro inefficienza, ma limitiamoci a dire che nel 2012 è
necessaria una riforma (o sostituzione con qualcosa di più efficace) in modo
che, per esempio, inizino a fare un uso massiccio del web e dei social network
per creare vere opportunità di contatto tra domanda e offerta.
Rendendo efficienti i centri per l’impiego il reddito minimo
diventa l’equivalente di un sussidio unico di disoccupazione, garantito
a tutti i cittadini maggiorenni non occupati a condizione che siano iscritti ai
servizi di collocamento e che, se chiamati, accettino la proposta di lavoro.
Il risultato finale sarebbe di segno opposto al disincentivo
dell’occupazione:
1) Il reddito minimo si percepisce solo finché non si viene
contattati per un’offerta lavorativa, la cui accettazione diventa obbligatoria.
La maggior parte dei cittadini cerca realmente lavoro. Il reddito minimo
garantito darebbe dignità alle persone, in quanto potrebbero riqualificarsi nei
periodi in cui il lavoro non c’è senza cadere in situazioni di povertà
estrema
2) Il lavoro nero si elimina solo con una politica di
controlli e di incentivi (fiscali). Non esiste altro modo di difendersi.
L’ipotesi che il reddito minimo incrementi il nero è una balla colossale.
L’evasione c’è già ed è sotto gli occhi di tutti, bisogna cercare gli strumenti
giusti per combatterla.
3) Il reddito minimo garantito combatterebbe invece il
“cattivo lavoro”, cioè lo sfruttamento senza scrupoli di chi vuol sottopagare i
dipendenti. Diventerebbe il gradino al di sotto del quale l’offerta non
troverebbe domanda.
Rimane un’ultima
fondamentale questione. Con quali risorse finanziare la riforma?
Secondo una stima di
Tito Boeri (lavoce.info) un sussidio unico di disoccupazione garantito a tutti i disoccupati,
indipendentemente dal tipo di contratto, assicurando in partenza non meno di
500 euro al mese, costerebbe a regime circa 15,5 miliardi di euro. Il sussidio si sostituirebbe alle
indennità di mobilità, ai sussidi di disoccupazione ordinari e a requisiti
ridotti e alle loro gestioni speciali per edilizia e agricoltura che costano in media 7,5 miliardi all’anno.
Dunque il costo netto sarebbe di 8 miliardi. Il tutto potrebbe essere interamente
finanziato con un contributo di circa il 3 per cento delle retribuzioni in
essere, senza alcun prelievo dalla fiscalità generale.
Altre ipotesi potrebbe essere quella di destinare una quota
della somma recuperata con la lotta all’evasione fiscale, 30 miliardi di euro
nel solo 2011.
Insomma, la riforma può essere finanziariamente sostenibile, anche se
la cosa più difficile è cambiare il nostro modo di pensare rapportando i
costi ai benefici, analogamente a quello che si è fatto con altre riforme di portata generale. La crisi si combatte anche con scelte coraggiose.
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