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giovedì 8 novembre 2012

Da fannulloni a motori della crescita. Qualche idea per dare competitività al pubblico impiego


I dipendenti pubblici in Italia sono troppi? E’ necessario diminuirne il numero per far quadrare i conti? I dati dicono di no.
Una ricerca presentata da Eurispes e Uil-Pa alla Camera evidenzia che la spesa per il pubblico impiego in Italia incide sul PIL (Prodotto Interno Lordo) per l'11,1%, perfettamente in linea con la media europea.
La distribuzione dei dipendenti pubblici vede al primo posto il settore scuola (32,8 per cento sul totale), seguito dalla sanità (20,9%) e da regioni e autonomie locali (15,7%). Al quarto posto i corpi di polizia con il 9,8% e a seguire ministeri, forze armate, agenzie fiscali, magistratura ecc.

Nel nostro Paese si contano 58 impiegati nella pubblica amministrazione ogni mille abitanti, ai livelli della Germania (54). In posizioni intermedie sono la Spagna, con 65 impiegati ogni mille abitanti, la Francia con 94 dipendenti ogni mille abitanti e il Regno Unito, con 92 dipendenti ogni mille abitanti. In Svezia sono 135 ogni mille abitanti.
La tabella elaborata dalla Corte dei Conti mostra come il numero di dipendenti pubblici in Italia sia di parecchio inferiore a Germania, Regno Unito e Francia.

Addirittura l’Italia è uno dei pochi paesi europei in cui negli ultimi dieci anni il numero di dipendenti si è ridotto: meno 4,7 per cento.

Tutto bene quindi? No, perché il vero gap tra Italia e resto d’Europa non è l’eccessivo numero degli impiegati o l’andamento della spesa per il personale, ma il livello di produttività delle pubbliche amministrazioni.
La produttività, in concreto, è la capacità di rispettare gli obiettivi di tempo e di risultato imposti dalla legge (dal rilascio di una concessione edilizia ad un certificato, ad una prestazione sanitaria). La Corte dei Conti nella relazione del 2012 sul costo del lavoro pubblico evidenzia come la produttività delle pubbliche amministrazioni, misurata sul PIL, abbia negli ultimi cinque anni un trend negativo (ad eccezione del 2010).

Sgombriamo subito il campo da un pregiudizio. La scarsa produttività non dipende dal fatto che i dipendenti pubblici non si impegnano sul posto di lavoro. Gli scandali e le truffe sono spesso clamorose, è vero, ma nel complesso piuttosto limitate. Appiattirsi su queste cose è fuorviante rispetto alle vere cause del problema, che sono principalmente di natura organizzativa.

Queste le proposte:
1) Semplificazione delle norme. Non ci stancheremo mai di ripeterlo, la legislazione vigente in quasi tutti i procedimenti amministrativi è complessa e confusa. Moltissimi adempimenti sono inutili. In caso di accorpamento (o eliminazione) diminuirebbero spese. tempi e numero di addetti necessari. Far funzionare la macchina amministrativa significa diminuirne gli ingranaggi (passaggi burocratici), altrimenti è quasi certo che qualcosa si inceppa.
2) Scegliere i manager pubblici con criteri meritocratici e non politici. Moltissime amministrazioni (soprattutto nel settore sanitario e dei servizi pubblici) hanno dirigenti scelti tra i politici trombati in qualche tornata elettorale. Se non si fanno concorsi almeno siano obbligatorie le selezioni pubbliche, mettendo in rete i currucula dei candidati e le motivazioni della scelta.
3) Investire nelle nuove tecnologie e nella formazione del personale. Tutte le pratiche della pubblica amministrazione, e sottolineo tutte, dovrebbero essere almeno avviabili on-line.
4) Mobilità del personale tra i diversi comparti e tra i diversi enti sulla base del reale fabbisogno dell’attività amministrativa, anche ricorrendo a misure obbligatorie. Parliamo di provvedimenti limitati alla provincia o regione di appartenenza, legati a carichi di lavoro particolari.

Lo sviluppo del paese dipende moltissimo dalla qualità dei servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Ancora di più in periodo di crisi, quando diventa criminale ostacolare con la burocrazia le (pochissime) risorse che le forze produttive mettono in gioco.  

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